Sto apparecchiando la tavola e guardo distrattamente la tivù in cucina: come ogni giorno compare la pubblicità martellante della ditta Poltrone e S… in prossimità del telegiornale, quando ormai l’abitudine di guardare il piccolo schermo è consolidata. E puntualmente, ogni giorno, offre per l’ultima volta sconti imperdibili sulla propria merce fino alla domenica successiva. ‘Non se ne può più’, sento dire spesso; eppure, se continua incessante, deve essere una pubblicità vincente. Non sarà per via di quel ‘Sofà’ che chiude lo slogan e col suo suono soffice e seducente ti proietta disteso e libero da lavoro e incombenze varie? Già: così sempre di corsa, nervosi e stressati, o delusi e annoiati, arrabbiati col mondo vicino e lontano o con se stessi, chi può negare che nell’immaginario collettivo proprio quella parola ‘sofà’ evochi le sirene di atmosfere ovattate, lente pigrizie, piacere dei sensi e misteriose atmosfere arabe da mille e una notte…
Ci sono parole che non nascono dalla prosaica realtà contingente ma da emozioni, sensazioni, immagini e percezioni di quella condizione psichica umana che è di tutti. Così deve essere stato anche per ‘sofà’, il cui suono appartiene semanticamente alla sfera del desiderio e della fiaba. Guarda caso la parola deriva dall’arabo ‘suffa’, che significa cuscino e che per gli arabi identificava non una, ma una successione di sedute soffici che si rendeva simile a un letto, luogo di sonno ristoratore, piacere e sogni; ben più seducente di ‘dīwān’, che è pure una parola araba, ma prosaica. Così tutti, oggi, inconsapevolmente sedotti dal ‘sofà’ della pubblicità (o la pubblicità ha recepito la nostra condizione odierna?) ci stendiamo mollemente su di esso abdicando ad ogni pensiero e predisponendoci allo straniamento da noi stessi che, guarda caso, è lì sul teleschermo pronto a rapirci. Sì perché, se ci fate caso, il sofà dei giorni nostri è collocato davanti a una cosiddetta ‘parete attrezzata’ che include il televisore; inoltre offre anche, il più delle volte, la possibilità di stendere le gambe come in un letto. Così la postura abbandonata del nostro corpo predispone alla rinuncia ad ogni fatica, anche del cervello e del cuore.
Ben diversa funzione aveva il divano del salotto fino a una cinquantina d’anni fa. Affiancato da una o due poltrone costituiva un’isola a sé nella stanza di soggiorno, dove ci si sedeva a chiacchierare con i famigliari, con parenti o amici in visita, sorseggiando un caffè o un tè coi biscotti o un liquore e condividendo risate, dolori, futilità, rabbie, discussioni. La tivù era collocata in un angolo, in disparte, perchè in quei momenti di sana interruzione della routine quotidiana non serviva. L’attenzione della mente e del cuore era proiettata ad ascoltare, a capire, a condividere l’umanità reale che ci stava di fronte. Dal suo angolo la tivù veniva spostata in posizione fruibile dal divano solo in momenti specifici, solitamente la sera, per guardare il programma concordato dai componenti della famiglia, stando seduti in posizione eretta, ‘composta’ diceva la mamma, in modo da essere ‘in allerta’ come un gatto per criticare, discutere, riflettere, commuoverci. Perché è vero, anche la posizione del nostro corpo si adegua al nostro cervello, lo influenza e si fa da esso influenzare. Una posizione supina agevola una passività razionale e sentimentale e viceversa.
Il divano rappresentava la società di allora, ancora con la mente e il cuore attivi verso la realtà dell’altro e di se stessi.
Il sofà di oggi ben rappresenta la nostra società che, indotta (dalla pubblicità o dalla pigrizia umana o da entrambe) a mettere il cervello in stand-by, beve acritica quanto da uno schermo viene proposto. Anche la molteplicità delle offerte televisive sono una finta libertà di scelta: spaparanzati sul sofà diventiamo facile preda della manipolazione e del pensiero altrui a tal punto che non ce ne accorgiamo nemmeno più.
In controcorrente rispetto a questo impoverimento umano, le iniziative della ‘Lettura animata’ e di ‘Quâter ciâcher in bibliotêca con tè, caffè e pasticcini’, proposte dalla Famèja Bulgnèisa, vogliono contrapporsi al torpore assertivo, sterile e disumanizzante dell’evasione televisiva sul sofà; vogliono riproporre il piacere di ragionare, commentare e commuoverci seduti su un ideale ‘divano’, di guardarci negli occhi per ascoltarci reciprocamente e difendere la nostra umanità.